MUSICA Downbeat e De Piscopo, Dorfmeister accende la notte campobassana

su I Fatti del Nuovo Molise                                                                                        15 maggio 2013                                                                                                               
di Maurizio Cavaliere
CAMPOBASSO - ”Che bello qui fuori, possiamo suonare anche qui, giusto?”. Richard Dorfmeister è appena sbarcato al Blue Note di Ripalimosani. Sorriso gentile, maglia a v scollata, foulard bianco e nero su giacca antracite e, soprattutto, idee chiare. Il maestro del downbeat – milioni di dischi venduti in coppia con Peter Kruder– riferimento dei dj e degli emergenti del settore (l’ingegnere del suono boianese Francesco Perrella sta facendo una tesi su di loro a Barcellona!) deve esibirsi in serata per il secondo evento del Campobasso Soul Beat Festival.

Richard Dorfmeister
Ad accoglierlo il titolare della venue molisana, Michele Stella, ad accompagnarlo l’organizzatore del festival, Massimo Petrarca. “Sicuro che posso esibirmi fuori? – chiede – non è che in serata fa freddo?” “Sei tu che decidi, maestro – gli rispondono in coro – Facciamo una cosa, ti apparecchiamo la strumentazione sia dentro che fuori”.E’ garbato Dorfmeister, rilassato e rilassante come la sua musica quando dalla dance contaminata sfocia nell’ambient. Abbastanza rilassato da rilasciarci una lunga intervista sui temi caldi della musica contemporanea e non: dalla creatività “da ricercare soprattutto nell’approccio disinteressato al lavoro”,alla necessità di “saper cambiare per il gusto di rinnovarsi, sempre nella cornice delle proprie idee” fino alla “voglia di cercare musica, attingendo dalle fonti più disparate, sempre con il desiderio costante e insaziabile di farsi il solito giro nel solito negozio di dischi”.
“Se dovessi fare un bilancio di vita della mia attività di musicista, direi che i numeri sono molto favorevoli – ci  spiega seduti a bordo piscina – E’ un lavoro che presenta anche degli aspetti non proprio positivi, per esempio il fatto di viaggiare senza sosta o di stare in piedi fino a notte fonda, ma è anche una professione che può essere gestita in maniera individuale. In questo senso, la musica, per come la vedo e vivo io, non è solo affari e soldi. Certo ci sono anche quelli, ma nel mio caso sono in quantità ridicola rispetto ai ‘big’ che ci sono in giro. Anche quando siamo andati fortissimo, una decina di anni fa, non abbiamo mai fatto tanti soldi. L’importante è continuare il tuo lavoro con passione, con amore e voglia di rinnovarsi, di conoscere e di ascoltare cose nuove oggi e per sempre”.
E’ un po’ quella voglia di sperimentare che ha portato il duo Kruder & Dorfmeister a esplorare il terreno vergine del downbeat?
“In effetti al tempo eravamo due ragazzi di Vienna che si affacciavano sulla scena internazionale e rappresentavano un qualcosa di veramente strano, nuovo, direi counterculture rispetto ai successi più o meno mainstream. C’erano i Massive Attack e gli Stereo Mc’s che facevano furore ma già rappresentavano qualcosa che poggiava su basi più sentite, noi siamo arrivati in questa fase trasformando l’uptempo molto in voga di allora in downtempo”.
Cambiare sempre per non restare immobili come artisti?
“Sì, cambiare, ma sempre nella stessa cornice. Penso ad Anthony Corbijn, che ha fatto le foto per tanti artisti famosi come Depeche Mode, Metallica (e i video per tanti altri come Nirvana, New Order, Henry Rollins, Nick Cave, oltre a essere il regista di Control, film biografia di Ian Curtis dei Joy Division, ndr) lui non cambia mai perché sviluppa il suo linguaggio ed è sempre molto bravo, perché lui è ok. Un po’ come avviene per la regista Sofia Coppola il cui stile non cambia mai perché è una continua e voluta ricerca del proprio linguaggio artistico. Quello che voglio dire è che per me non avrebbe senso pubblicare un album dubstep tra una settimana perché non sarei io e, sebbene penso venderebbe bene, costituirebbe un approccio sbagliato. In definitiva cambiare va bene, purché si resti se stessi e si ascolti la propria voce interiore”.
Da grande flautista… “Direi così così”  fa sfoggio di modestia Dorfmeister …ha mai ricevuto la proposta di far parte stabilmente di una band? “No – replica prontamente e sorridendo – Probabilmente non sono abbastanza bravo… In ogni caso non sono mai stato attratto dall’idea di suonare in una band intesa nel senso classico del termine. In Tosca (il suo progetto di musica elettronica in connubio con Rupert Huber, sei album all’attivo, l’ultimo è di quest’anno e s’intitola Odeon, ndr) siamo più un esperimento elettronico o dei performer che una band…”.
L’intervista scivola via piacevolmente fino al suo naturale epilogo. Dorfmeister ci parla dell’influenza del Krautrock, soprattutto dei Can, di cui ha tutti i dischi e ha comprato recentemente anche una compilation, e Kraftwerk. Conclude con un encomio ai suoi colleghi teutonici per essere stati così grandi e influenti nella musica elettronica. Da buon vicino di casa austriaco – “in realtà siamo tanto differenti” ride – ne ha preso parzialmente le consegne sia pure in un’epoca diversa e forse meno innovativa della precedente. Quando ci salutiamo abbiamo la netta sensazione che il musicista viennese abbia deciso dove suonare. Gli piace la situazione outdoor e l’acustica è perfetta. Tempo cinque ore e lo vedremo esibirsi di fronte ad una buona cornice di pubblico per nulla infreddolito, al ritmo dei suoi brani più famosi, ma anche di pezzi storici che trasudano passione per tutti i generi di questo mondo: dalla samba alla bossa nova, tutto condito dall’elettronica, fino al jazz funk, un brano su tutti: Jazz Carnival dei brasiliani Azymuth.
Ma Dorfmeister non è venuto a Campobasso per fare il figo o acculturare i presenti. Ci viene in mente una sua dichiarazione a microfoni spenti: “Che vi proporrò stasera? Vediamo, non sempre so quello che suonerò. Dipende anche dall’audience e dal tipo di evento. L’importante è rilassarsi e ascoltare buona musica in una bella serata”. Così, almeno noi, non siamo del tutto sorpresi quando decide di aprire e chiudere il suo dj set con due magie frutto del genio italiano. La prima è un remix de “Il tempo di morire” di Battisti. Poi, al calar delle tenebre vere, alle quattro di mattina, con i veri appassionati ancora in pista, ci piazza su un clamoroso Stop Bajon di Tullio De Piscopo. E’ il culmine di una serata straordinaria, anticlaustrofobica, un mix di ballo ebbro e violenta ‘scuffia’ musicale. “Che bello qui fuori, possiamo suonare anche qui, giusto?” Sì ragazzi, con Dorfmeister la tracklist non è scritta, ma la sceneggiatura sì: ed è un successo.

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