REPORTAGE Viaggio nel cuore della cittá fantasma: il terremoto all'Aquila

su Altromolise                                                                                                           8 aprile 2009
di Maurizio Cavaliere
La vigilessa ha voglia di parlare, e a lungo. Le chiediamo se quelli di fronte a noi sono i resti della Casa dello Studente e lei comincia a raccontare il dramma personale vissuto con i suoi bimbi nel caos di quella notte infernale tra cemento e polvere. Le rifacciamo la domanda; annuisce, ma la risposta è ancora un tentativo di dialogo,
uno sfogo non più lucido su quanto accaduto tre giorni prima.
Comincia così, con la sensazione che in Abruzzo, oltre alle case, sia stata sbriciolata la tenuta emotiva dei suoi abitanti, il nostro viaggio tra le macerie del terremoto italiano più devastante degli ultimi vent'anni.
L'Aquila è una città spettrale sotto il sole. Quello che si percepisce guardando il dramma in tv è già abbastanza chiaro, ma la visione d'assieme, lì sul posto, a due passi dai corpi ancora intrappolati tra i mattoni e le travi di legno, è ancora più drammatica: qualcosa che ferisce l'anima e ti proietta in una buia realtà parallela in cui regnano paura e dolore.
E' sufficiente passeggiare per pochi minuti nelle strade teoricamente ancora aperte al traffico che l'idea di una città sconvolta da una catastrofe naturale fa spazio a quella di un luogo fantasma. Dove credi di imbatterti in tanta gente, tanti soccorritori, tanti mezzi di informazione pronti a raccontare il dramma, tanto senso del dolore e del dovere, non trovi quasi più nessuno. Ormai i dispersi si contano sulle dita di una mano. Il centro storico è dichiarato inagibile, nessuno può attraversarlo.
E' come se Corso Vittorio Emanuele a Campobasso e le altre vie centrali del capoluogo di regione molisano fossero totalmente deserte e polverose, e ai bordi della strada si alternassero un palazzo ancora in piedi, ma sventrato, e uno completamente cancellato dal sisma. Una istantanea sconvolgente, come sconvolgente è la sensazione che attraversa il nostro corpo mentre assistiamo alla conferenza dei capigruppo del Consiglio regionale d'Abruzzo, quando una scossa di assestamento ci fa tremare le gambe e gelare il sangue nelle vene.
"Eccolo, eccolo di nuovo" - pensa ad alta voce il Presidente del Consiglio regionale d'Abruzzo, Nazario Pagano, come se ormai il terremoto fosse un messaggero di morte in carne e ossa, pronto a recapitarti senza preavviso l'ennesima notizia luttuosa.
Nessuno sa quello che può ancora succedere, mentre i consiglieri regionali abruzzesi, tra un sussulto e l'altro, provano a riorganizzare le idee nella speranza che il picco dell'emergenza torni presto ad un livello di guardia più modesto.
In lontananza sentiamo le grida di dolore di una donna segnata dallo sgomento. Pochi secondi e capiamo che quella disperazione appartiene alla signora Liana, la mamma del povero Elvio Romano. E' seduta su una panchina nella Villa Comunale a poche decine di metri da dove soccorritori e speleologi provano con tutte le energie ancora disponibili a cercare quel miracolo per il quale il Molise intero sta pregando. Quello di Elvio, purtroppo, sarà uno degli ultimi corpi ad essere identificati tra le vittime.
Sale l'angoscia e intuiamo che un'altra ricognizione nelle due strade più colpite dal sisma, nel centro storico del capoluogo di regione abruzzese, sia del tutto inutile. Non c'è nient'altro da capire, se non che le due case dello studente siano effettivamente tra gli edifici maggiormente danneggiati.
Ci spostiamo allora con i colleghi di Teleisernia a otto chilometri da L'Aquila. Nella frazione di Arischia, 1700 abitanti circa, c'è un campo sportivo che la Protezione Civile nazionale ha trasformato in campo di assistenza da affidare all'impegno del gruppo operativo molisano. Le tende sono arrivate tra martedì e mercoledì mattina, ottocento i posti letto, centoquaranta i volontari all'opera. C'è tantissimo da lavorare.
Avviciniamo un giovane volontario che non dorme da quasi due giorni.
Ci dice che tra gli sfollati non ci sono solo gli abitanti di Arischia, ma alcuni arrivano da L'Aquila. Intanto una voce dalla segreteria sistemata nella prima tenda all'ingresso del campo, annuncia ai presenti che stanno arrivando i mezzi che porteranno anziani, bambini e alcune donne sulla costa adriatica.
E' lì, in alberghi e villaggi turistici che queste persone potranno alloggiare nella prima fase dell'emergenza. Dovrebbe essere una buona notizia, ma non lo è.
La gente resta nelle tende, non lascia la brandina e lo spazio che gli sono stati assegnati. Non pensa minimamente di lasciare il paese d'origine. Preferisce vivere in tenda a cento metri di distanza dalla  casa lesionata, piuttosto che raggiungere le strutture ricettive a Nord di Pescara.
Ritroviamo il nostro volontario che ci raggiunge mentre prendiamo informazioni direttamente dagli sfollati. Parliamo insieme del trauma che questa sfortunata comunità dovrà scontare nel tempo e della drammatica decisione da prendere: restare o partire? Lui non ha dubbi, ha la certezza che gli abitanti di Arischia non lasceranno il loro territorio. "Come fa è esserne così" chiediamo "Le dico soltanto che l'altra sera - risponde - quando c'è stata la forte scossa intorno alle 20, abbiamo visto tante persone lasciare il campo, mettersi in auto, e tornare nelle abitazioni lesionate ma ancora in piedi per verificarne gli eventuali danni ulteriori. Quello è tutto ciò che hanno, e non solo in termini di solidità materiale. Non credo che andranno mai via da qui".
A confermarlo è un signore di mezza età, uno dei tanti sfollati di Arischia, che ascolta il nostro discorso e poi ci chiede: "E ora dove continueranno le scuole i nostri figli?". Uno dei mille problemi cui dovranno trovare una soluzione gli amministratori locali e nazionali. Una domanda che il nostro, visibilmente provato, ci pone e si pone muovendo con delicatezza nell'aria un foglio bianco scritto a penna. E' lui stesso a dirci che si tratta del certificato di morte della madre, deceduta il giorno prima, mentre dall'ospedale de L'Aquila, inagibile per la gran parte, veniva trasportata in elicottero in un altro nosocomio. "Era anziana e non ha retto alla paura di viaggiare in elicottero", sono le uniche parole che l'uomo pronuncia. Il terremoto è anche e soprattutto questo: un dramma collettivo in cui ognuno vive la sua grande tragedia emotiva. E' un palazzo che si accartoccia su se stesso, un trauma che segnerà per sempre la vita di queste sfortunate persone, anche quella della vigilessa che, con i suoi figli, si è salvata per miracolo.

Commenti

Post popolari in questo blog

L'INCHIESTA 'Onna Peppa, Maddalena e le ragazze di Porta San Paolo: le case di tolleranza a Campobasso. Quando un po' di telegrammi valevano una marchetta gratis

VIAGGI Da giornalista nel cuore di Londra: dal maestoso Guardian all'omaggio a Farzad Bazoft, Marx e Kinks