PERSONAGGI Gaetano Scardocchia, quando il giornalista faceva il... giornalista. Ricordo della miglior 'penna' molisana di sempre

di Maurizio Cavaliere
(pubblicato sul quotidiano Nuovo Molise del 16 novembre 1997)
Una carriera al servizio del lettore. La professionalità e la chiarezza dell’informazione prima di tutto.
Gaetano Scardocchia era un uomo preciso e premuroso. “Il giornalista è un testimone privilegiato, non un interprete” diceva a chi gli chiedeva una definizione del suo mestiere. Grande rispetto delle regole, ma anche grandissima propensione a recepire le innovazioni. Era infatti sempre in viaggio, pronto a dare spazio solo alla verità in un’infinita e affannosa rincorsa alla realtà. Per questo, probabilmente, aveva girato il mondo, riportando da tutte le latitudini le sue impressioni autorevoli e lineari al tempo stesso, come nel suo stile così apprezzato. Da Roma a Vienna, da New York a Pechino, a Torino e poi ancora a New York, teatro e fonte primaria della scena politica internazionale da cui un uomo al passo coi tempi come lui non poteva prescindere.

Con Campobasso, dove era nato nel 1937, non aveva più un legame stabile. Eppure a Campobasso ha voluto essere sepolto. Nella sua città è tornato per sempre dopo la morte prematura, avvenuta il 17 novembre del ’93.
Dopo gli anni del Liceo al ‘Mario Pagano’, durante i quali aveva vinto una borsa di studio con un tema su Dante, si era trasferito a Roma, dove, l’anno dopo, lo avevano seguito la madre, la signora Maria Pasqualina, e il padre Pasquale, noto barbiere campobassano il cui salone in centro città, al numero 21 di Piazza Vittorio Emanuele, era un luogo di ritrovo per tutti. Poi, la scalata alle testate giornalistiche più prestigiose, il matrimonio con una donna viennese e i continui spostamenti.
Le sue sporadiche visite a Campobasso erano per lo più delle capatine all’insegna degli affetti e della serenità. Pochi, selezionati amici, la mamma oggi novantenne, la sorella Rita, i nipoti erano per lui l’unico punto di riferimento. Sono proprio queste le persone che abbiamo contattato in questi giorni, alla ricerca della sua personalità e di qualche aneddoto. Complessivamente è emersa una figura tranquilla, quasi schiva. Un uomo tutto viaggi e lavoro, stimato da tutti.
Franco Correra, per venti anni della Biblioteca Provinciale ‘Albino’ lo ricorda così: “Aveva 17 anni ai tempi in cui frequentava la biblioteca. Quello era un periodo davvero magico per tutti noi. Con lui c’erano Federico Orlando, Gino Marotta, Luigi Biscardi, Giuseppe Tabasso, Felice Del Vecchio e tanti altri. Lui era un po’ introverso, ma solo all’apparenza. Già possedeva la dignità e l’orgoglio dell’intellettuale di razza. Poi, quando ci siamo rivisti, e lui era un giornalista affermato, mi ha colpito la sua cordialità, che era la stessa di sempre”.
Il temperamento di Gaetano Scardocchia era forte, forse per i grossi sacrifici affrontati nella vita e negli studi dove ha conseguito ben tre lauree (scienze politiche, lettere e giurisprudenza). Sul suo modo di essere lontano dal desk delle redazioni non mancano le contraddizioni. La sorella Rita ricorda: “Era riservato e onesto nel suo lavoro. Ma nel privato era un compagnone. Un buono di natura”. Nino Amoroso, giornalista campobassano che conobbe Scardocchia in giovane età, invece, ha altre memorie: “Non era un uomo da aneddoti. Via dal lavoro era una persona schiva, non un conviviale”. Su un aspetto però c’è piena convergenza di giudizio: la passione per la buona cucina molisana e italiana in genere. “Alla vigilia di una sua visita a Campobasso – continua la sorella – mi chiedeva sempre di preparargli carciofi e broccoletti. Era il suo modo di restare attaccato alle tradizioni del Molise”. “E’ vero – aggiunge Amoroso – a New York frequentava spesso Mulberry Street , la via con i migliori ristoranti italiani, al centro di Little Italy”.
E’ la madre, comunque, a serbare il ricordo più nitido. La signora Maria Pasqualina, che vive tuttora a Campobasso, era molto legata a Gaetano. “Mi voleva molto bene – interviene - Mi ha portato in Cina, tre volte in America, a Vienna e Amburgo”. Ma il flashback più bello per la signora Scardocchia resta quello ‘italiano’ di dieci anni fa, in occasione dell’ottantesimo compleanno. “Allora – racconta – mio figlio era direttore de ‘La Stampa’ ed era molto impegnato. Tuttavia, lasciò Torino e venne a trovarmi. Fu un regalo bellissimo: andammo tutti insieme, circa quaranta parenti, a festeggiare a Ferrazzano dove Gaetano ordinò il suo piatto preferito, i torcinelli”.
C’è poi un altro ricordo nella mente di Maria Pasqualina, decisamente più triste. L’episodio rivela quelli che erano i piani futuri del grande giornalista. “Era il 1993. Mi telefonò da New York il 16 novembre e mi disse che saremmo dovuti andare per un paio di mesi a San Felice Circeo (dove Scardocchia aveva una casa, ndr). Voleva scrivere un libro sugli immigrati italiani in America”. E forse anche lui, cittadino del mondo, in fondo si sentiva un immigrato. Un immigrato che ha seguito un destino che lo ha portato a partire per l’ultimo viaggio in silenzio, lontano dalla sua terra e dalle sue radici. Senza clamori, così come aveva vissuto.

Commenti

Post popolari in questo blog

L'INCHIESTA 'Onna Peppa, Maddalena e le ragazze di Porta San Paolo: le case di tolleranza a Campobasso. Quando un po' di telegrammi valevano una marchetta gratis

VIAGGI Da giornalista nel cuore di Londra: dal maestoso Guardian all'omaggio a Farzad Bazoft, Marx e Kinks