AMBIENTE ’Le trote del Biferno? Mangiate solo quelle dei vivai’: salvare il fiume inquinato e saccheggiato

su Primonumero                                                                                                 7 agosto 2013
di Maurizio Cavaliere
Un momento del seminario sul fiume
A un mese dal primo seminario di studio e conoscenza per la tutela del fiume Biferno, dagli operatori locali emergono le prime linee guida sulle quali impostare il lavoro di riqualificazione e valorizzazione del corso fluviale più noto e importante della regione.
‘Salviamo il Biferno e chi lo frequenta’, questo il titolo dell’incontro di studio organizzato a inizio luglio dal Dipartimento Agricoltura, Ambiente e Alimenti dell’Università degli Studi del Molise, con la collaborazione di diversi enti e associazioni pubbliche e private, ha evidenziato le potenzialità inespresse del Biferno tracciandone altresì i problemi, anche gravi, da affrontare e risolvere senza più esitazioni.
A lato delle straordinarie qualità paesaggistiche e geomorfologiche che caratterizzano tutto il tratto lungo circa 80 chilometri, dalle sorgenti di Bojano allo sbocco tra Termoli e Campomarino, sono affiorate in effetti alcune preoccupanti situazioni, analizzate dagli accademici, da tecnici qualificati e anche dalle associazioni di pesca sportiva e sportive vere e proprie come Moliseavventura, specializzata nel diffondere la pratica di canoa e rafting lungo il fiume.

Al motto di ‘sondiamo il Biferno e staniamo questi problemi’ tutti gli operatori si sono affacciati idealmente sulle sponde del fiume. Innanzitutto, preoccupa la questione inquinamento. E’ il primo anello della catena che fa saltare tutto, vale anche per il Biferno che, come tanti altri corsi fluviali, si altera per le non ottimali condizioni delle sue acque. Intensificare i controlli è certamente un primo passo verso la normalizzazione. In questo senso, durante il seminario, è stata amplificata la posizione dei tecnici dell’Arpa Molise che hanno evidenziato l’impegno dell’Agenzia regionale nel monitorare con sempre maggiore attenzione lo stato di salute del fiume, affinché i problemi siano analizzati e risolti nell’immediato.
E’ emerso tuttavia che anche gli sforzi più grandi possono non bastare. Succede infatti che pure i depuratori ad alta efficienza non sono spesso in grado di intercettare molecole insidiose che riescono a filtrare. Da qui l’auspicio di dotarsi di impianti sempre più all’avanguardia.

E gli sversamenti abusivi? Anche qui bisogna migliorare e fare in modo che tutti sappiano quello che si verifica o può verificarsi lungo il corso del fiume. «La situazione di oggi – ha spiegato il professor Catello Di Martino, docente di Fisiologia vegetale alla Facoltà di Agraria dell’Unimol – mostra il degrado antropico nella prima parte del corso».Fondamentale, anche per una questione di immagine, sarebbe asportare gli oggetti che sono visibili a tutti e mettere il fiume in una situazione di reale decoro.

Al problema inquinamento sono direttamente collegati i rischi che si agitano come arpioni implacabili nell’orbita dei pesci. L’allarme suona per la fauna ittica, specificamente per la trota fario, risorsa genetica preziosissima, autoctona del fiume. La professoressa Nicolaia Iaffaldano, docente di Zooculture all’Università del Molise, ha rimarcato i grandi passi avanti fatti grazie alla tecnica riproduttiva utilizzata in zootecnia, la fecondazione artificiale, praticata in aiuto al ripopolamento: «Il tutto – ha spiegato la docente – avviene in un contesto di rispetto assoluto per l’ambiente».Ai pescatori sarebbe in tal modo assicurata sulla lunga distanza l’opportunità di una pesca certa, regolamentata e senza rischi, aspetto non secondario come spiega il professor Di Martino. «Allo stato attuale non è consigliabile mangiare un pesce preso nel Biferno. D’altronde è quello che avviene in quasi tutti i corsi d’acqua d’Italia. Io consiglio vivamente di comprare le trote al vivaio».

E poi c’è la questione acqua nel senso proprio del termine, cioè di portata e prelievo della stessa. Qui il discorso si fa ancora più complicato perché legato a tematiche economiche che, come sappiamo, sono ormai dominanti anche quando si parla di paesaggio e risorse naturali. Il paradosso degli eccessivi prelievi alla fonte, che da due decenni costringono i boianesi – che pure sono i custodi delle sorgenti – a stare senz’acqua dalle 10 e mezzo di sera alle 6 e mezzo del mattino è solo il punto più profondo dell’emergenza. La captazione fuori misura alla fonte determina la trasformazione del Biferno da fiume possente e vigoroso a mero rigagnolo d’acqua in più di un segmento del suo itinerario. L’acqua molisana va in Puglia e in Campania e, spesso, viene sprecata a causa di condutture usurate lungo i tratti di acquedotto extraregionali (l’emergenza idrica del novembre 2007 nell’area di Benevento fu dovuta anche a questo). 

Dal seminario è venuto insomma fuori che bisognerebbe intervenire in maniera più organica e moderata al prelievo, cercando di tutelare il patrimonio idrico oltre che quello ittico e faunistico.
 Abituare la gente a sprecare meno acqua sarebbe già un discreto punto di partenza. Lo stesso Carlo Petrini, fondatore di Slowfood e considerato dal prestigioso giornale inglese Guardian tra le ’cinquanta persone che possono salvare il pianeta’, intervenendo domenica scorsa a Provvidenti, ha ribadito che la prossima guerra sarà per l’approvvigionamento idrico. Petrini, consigliere personale di Barak Obama, lo va dicendo da tempo. Non è un mistero, del resto, che il tanto complicato, lungo e sanguinoso conflitto tra Israele e Palestina sia fondato proprio sul possesso delle risorse naturali, acqua in primis. Sì alla razionalizzazione allora, tenendo presente che l’acqua è di tutti ma pure che chi questo bene lo capta in un altro territorio ha il dovere tassativo di non sprecarlo colpevolmente in uno scempio di incuria e totale carenza di buon senso.

In definitiva il primo seminario di conoscenza del nostro straordinario corso d’acqua, forse unico vero simbolo del Molise perché legato al mare, alla montagna e alla storia più illustre dei nostri avi – quella dei sanniti – è riemerso un senso di comunanza che sembrava sopito. Si parla di un fiume potenzialmente munifico e tra l’altro, come ha spiegato Francesco Morgillo di Moliseavventura, un gioiello dal percorso sicuro come pochi altri in Italia e dunque straordinariamente idoneo alla pratica di discipline sportive come canoa e rafting che esaltano lo spirito d’avventura e l’amore per la natura. 
Per di più, come emerge anche dal crescente flusso di persone orbitante nell’area bifernina nell’estate in corso, sono sempre di più le strutture e gli happening che trovano come location ideale le sponde del fiume un tempo culla dei sanniti e dei loro sogni di gloria. A valorizzare il territorio in aree ancora non funzionali dovranno pensare gli altri potenziali operatori, spinti da un sentimento nuovo che nasce tra la gente sulla scorta di azioni congiunte come appunto l’incontro organizzato dal Dipartimento di Agricoltura, Ambiente e Alimenti dell’Unimol. Serve una volontà collettiva di supporto, tramite iniziative di valorizzazione e verifica analitica di quello che non va sul territorio e nelle stanze dei bottoni.

Quello di inizio luglio è stato solo il primo di una serie di incontri di sensibilizzazione e coordinamento. Da fiume malato a oasi naturalistica il passo può essere breve, ma bisogna muoversi per evitare l’incancrenimento di una situazione che al 2013 desta più di un pensiero.
 

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