L'INCHIESTA 'Onna Peppa, Maddalena e le ragazze di Porta San Paolo: le case di tolleranza a Campobasso. Quando un po' di telegrammi valevano una marchetta gratis

di Maurizio Cavaliere

 
"Come se me la ricordo! Biondina, capelli lunghi, siciliana e molto, molto bella. Almeno per me. Era la mia prima volta con una donna. Mi costò 500 lire".
Franco parla in dialetto campuasciano puro. Frasi fatte ma vere. È un uomo sui settant'anni, minuto, sfuggente e con in testa un cappellino a cuffia, molto simile a quelli portati dai ragazzi con una certa naturalezza che lui non ha.
(La parete su cui posava l'orinatoio pubblico di Porta Mancina)
 
Lo incontriamo in via degli Orefici, a Campobasso. Parte qui il nostro lungo viaggio nel tempo che fu dei nostri nonni, negli anni prima e dopo la seconda guerra mondiale quando, non troppo distante da dove siamo, nei pressi di Porta San Paolo, proprio alla sommitá del salitone di via san Lorenzo, di fronte all'ingresso del vecchio pub Amadeus, viveva un'altra donna siciliana. Una signora conosciuta da tutti... fortune o inconvenienti del mestiere. Era bassa e robusta, non bella, almeno in età avanzata. Una donna del Sud, scaltra, autoritaria e anche generosa, connotati di temperamento essenziali per una che aveva deciso di fare la maitresse a Campobasso, una e trina a capo della casa di tolleranza più frequentata dell’epoca, in città.

La chiamavano 'onna Peppa, senza ‘d’ – all’anagrafe Giuseppina Patané - nome che ancora oggi evoca sensazioni quasi mitologiche tra i vicoli del centro storico. La sua però è una storia vera, arcinota ai settantenni di adesso, più o meno conosciuta dai papá sulla sessantina, assolutamente ignota ai quarantenni e a quelli venuti dopo.
Le testimonianze dirette cominciano a scarseggiare. Gli ultimi uomini col... 'vizietto legalizzato' sono quelli che hanno superato i settanta. Dobbiamo ritenerci fortunati per averne beccato subito uno, tra altro prontissimo a rivangare un passato poco glorioso per qualsiasi uomo e diciottenne di oggi, ma che allora incardinava uno stile di vita che, criticabile quanto si vuole, era quello in voga, imprimatur fisici compresi.
Il bordello campobassano più noto della storia, come tanti altri di quel periodo, era figlio del meretricio istituzionalizzato pre repubblicano che trovò nel fascismo un terreno perfetto per proliferare. La Legge Merlin sarebbe arrivata solo alla fine degli anni Cinquanta senza per altro spazzare via, in un sol colpo, tutti i casini attivi sulla piazza.

La prima volta di Franco fu proprio all'indomani del colpo di spugna, acqua e sapone voluto, tra mille ostacoli, dalla senatrice socialista. 'Quel giorno avevo compiuto diciotto anni – commenta -  così decisi di fare quell'esperienza che, per tanti come me, era quasi obbligata'.
Era proprio la sua prima... visita alla casa di donna Peppa? "Era la prima volta in cui mi fu concesso di entrare. Ci avevo giá provato, in veritá, ma se non avevi fatto i diciott’anni non c'era verso di vedere quelle donne in quel bordello. Questo, almeno, è quanto successo a me".
Cosa le torna in mente di quell’esperienza? 'Ricordo donna Peppa al pian terreno. Ti faceva entrare e controllava ogni movimento, alla cassa, dicendo quando entrare e quando uscire. C'erano altre stanze e alcune donne che non superavano i trent'anni. Le più giovani potevano averne 22 o 23 credo".
Che tipa era la maitresse? “Lei era più grande di etá e (rispettiamo in toto il detto dialettale cui il signor Franco attinge, ndr) ‘le puzzavan l’ baff'”. Tradotto in un idioma particolarmente efficace, la signora Giuseppina era una fina fina... “Voglio dire che sapeva come gestire la casa ed era molto rispettata e anche temuta dagli uomini”.
Ma le donne del centro storico non le facevano la guerra? “Non che io ricordi. Per molti uomini era una cosa normale concedersi una o più scappatelle”.
All'oscuro delle mogli, giusto? “Non sempre, alcune donne sapevano ma dovevano sopportare perché così doveva essere”.
Quindi tutti erano al corrente del casino a due passi dalla chiesa di San Paolo, oggi sconsacrata? “Certo che tutti sapevano, anche se in giro si vedeva era solo donna Peppa. Le altre restavano in casa”.
Chi erano i maggiori frequentatori della ‘casa’? “Ci andavano quasi tutti gli uomini prima o poi”.
Di tutti i ceti?Sì, c'era qualche medico e altra gente che stava bene di soldi, ma non erano la maggioranza”.
Da dove venivano le ragazze? “La maggior parte era del Sud, molte della Sicilia”. Pare arrivassero in treno alla spicciolata per non dare nell’occhio.
Molisane no? “No, io non ne ricordo della zona (da altre testimonianze apprenderemo tuttavia che almeno un paio di prostitute col ‘bollino statale’ venivano da due paesi dell’hinterland campobassano, una era di Ferrazzano, ndr)”.

Le è capitato di assistere ai controlli delle Forze dell'ordine? “Sì, di tanto in tanto arrivava la Polizia, la casa doveva essere in ordine e soprattutto a norma con le più rigide forme di igiene, anche per questo quasi tutte le mattine c’era pure il medico specifico”.
Quindi l'ambiente era pulito... 'Era una casa come tante, né più né meno di altre abitazioni della zona, l’unica differenza era il continuo traffico di uomini dentro e fuori…”.
E le ragazze come si cautelavano dal rischio di infezioni e altre malattie, e soprattutto da quello di tanti uomini non del tutto a posto come abitudini sessuali e igieniche? C'erano regole precise che loro conoscevano bene. Prima di tutto le ragazze ci lavavano con acqua e sapone in una bacinella, poi si sistemavano loro, infine si consumava il rapporto”.
Che tipo di contraccettivi usavano? 'Non saprei'.
Lei usava il preservativo? “Assolutamente no. Che io sappia non lo usava proprio nessuno”.
Allora come facevate? “Erano loro a dirci come fare, funzionava così”.
Lei non si è mai accorto di situazioni particolarmente sconvenienti in zona,
che so, mogli che si lamentavano con donna Peppa o con le altre prostitute? “No, io no. Sapevano tutti dell'esistenza di quella casa e le ragazze erano spesso assistite dai medici o da altre signore di buon cuore che abitavano in zona”.

E la chiesa a trenta metri in linea d'aria? com'era possibile che la casa del Signore e quella del peccato fossero così vicine senza che vi fossero contrasti? “Beh, c'erano problemi ogni tanto. Ricordo le discussioni col parroco di San Paolo, don Giuseppe, ma la sede effettiva della parrocchia era molto più su, sopra salita San Paolo, quindi non c’erano tantissime occasioni per incontrarsi, almeno di giorno…”.
Quindi la sua prima volta fu con una prostituta del bordello di donna Peppa e le costò 500 lire… “Sì, poi, verso la fine il prezzo raddoppiò'. Nei ricordi di Franco, alla fine degli anni Cinquanta, una marchetta di un’ora costava 500 lire. Per capire il valore di quei soldi basta ricordare che nel 1958 - anno dell’abolizione del meretricio di Stato, e primo anno del boom economico con le Seicento in strada e le radio accese sulle note di ‘Nel blu dipinto di blu’ – lo stipendio si aggirava tra le 70 e le 100 mila lire.

Ma quello era il dazio per una prestazione media. Per singole e per doppie erano da intendersi rapporti di mezz’ora o di un’ora. Se volevi ‘sfogarti’ con meno, a quanto pare, potevi farlo, a volte, tempo minimo un quarto d’ora, probabilmente, e dovevi rispettare il cronometro, altrimenti la ‘donna Peppa’ della situazione ti sbatteva fuori senza complimenti. Una notte intera nel postribolo costava un occhio della testa e potevano permettersela in pochi, i professionisti di allora, medici in primis.

E’ Angelo, che incontriamo poco dopo aver congedato Franco, il quale si riavvia verso il centro con passo indolente, a ragguagliarci in merito. Angelo vive da sempre nel borgo. L’ascesa verso il castel Monforte, in quel budello di pietre bianche e grigie, è l’arteria pulsante della sua vita. In quei vicoli stretti, con improvvisi slarghi e curve a gomito tra uno scalino e l’altro, ha trascorso l’infanzia. Ci giocava pure a pallone in quegli anfratti. E’ grazie a lui che apprendiamo che, proprio a metà di Salita San Paolo, viveva a quanto pare un’altra mezzana in regola, meno nota di donna Peppa, ma egualmente carismatica. “Si chiamava Maddalena – ci dice – e viveva qui” indica una casa a due piani che sembra sul punto di cadere, ma che è invece oggetto di una ristrutturazione partita da qualche giorno.
Il nostro ha 76 anni e quando ‘donna Maddalena’… operava era solo un bambino. Eppure la ricorda bene e non certo per la vita facile. “Le volevo bene a quella signora, ho saputo solo tanti anni dopo la sua partenza da Campobasso che gestiva un casino. Era una donna gentile: a noi bambini dava le caramelle ed era amica di alcune persone della zona, con le quali si confidava e alle quali raccontò la sua triste vicenda di vita.

“Veniva da Napoli – prosegue, mentre, col cuore in gola, cammina con noi verso la sommità di Salita San Paolo – non era giovanissima, ma neanche anziana. Disse ai miei che anche lei faceva la… professione. Aveva cominciato perché costretta dalla fame. Per molte donne napoletane quello era l’unico modo per non morire e, magari, tirare avanti tra gli stenti, ma comunque vivere. Dalla prima volta, con un anziano signore, non smise più. Ma era una donna segnata dal dolore per quella vita. Alla fine della guerra non la vidi più, era stata a Campobasso cinque o sei anni, forse di più. Viveva con altre donne, ed era l’unica, insieme a donna Peppa, a mantenere una casa di tolleranza nel senso proprio del termine, almeno che io ricordi”.

La memoria di Angelo viaggia lontano negli anni del dopoguerra. Anche lui entrò nella ‘casa’ di via del Castello, dove Giuseppina Patané dettava i ritmi delle giornate di ‘donnacce e puttanieri’. A differenza di quanto detto da Franco, lui riuscì a varcare l’uscio del piacere facile prima dei diciotto anni. “Sì, ci andai anch’io, ma la mia fu un’esperienza traumatica, senza ritorno. Ero cresciuto in fretta – racconta mentre si accarezza i capelli un po’ lunghi dietro le spalle – A sedici anni ero già un uomo, la gente poteva tranquillamente darmi vent’anni. Fu così che, senza mostrare il documento, passai la porta d’ingresso e mi misi in fila aspettando il turno. Accanto a me altri uomini che, al momento di entrare, non avevo guardato e studiato. Quando mi accorsi che erano tutti anziani e anche male in arnese e che io ero l’unico ragazzo, ebbi la sgradevole sensazione di aver sbagliato tutto. Vedere quei vecchi in fila mi fece realmente senso… Dovetti scappare via senza aver visto nemmeno una ragazza”.

Cos’altro ricorda di quel bordello? “C’erano anche delle belle ragazze che non superavano i trent’anni. Erano tre o quattro e cambiavano ogni quindici giorni”.

Cioè c’era una turnazione? “Sì, era un ricambio obbligatorio. Quelle che stavano a Campobasso andavano in un altro casino e altre… professioniste del settore si presentavano da donna Peppa. Un continuo andirivieni. A volte eri fortunato, perché le donne erano piacenti, altri giorni ti capitavano tipe robuste o bruttarelle. Di sicuro erano tutte già espertissime”.

E l’igiene? erano rispettate le norme, almeno le più importanti? “Questo non posso dirlo della ‘casa’ di donna Peppa. Certo è che in quegli anni poteva accaderti di tutto, pure che nella stessa bacinella, con la stessa acqua e sapone venisse lavato il basso ventre di più di un uomo, con tutti i rischi e le malattie che potete immaginare”. E non è che le signorine si risparmiassero - anche perché costrette - visto che la media nazionale di quegli anni era di quasi cinquanta ‘botte’ al giorno. Ma i bordelli di provincia non erano proprio… paillettes, lingerie e quadri di odalische alle pareti. Puzzavano di cipria e sterilizzanti. Le normali condizioni igieniche, per le ragazze, mancavano spesso e volentieri. Molte di loro, non a caso, morivano giovani di sifilide, tubercolosi o semplicemente perché grasse dentro e fuori: ‘sfasciate’ dalla vita. Beh, torniamo ad Angelo.

Ricorda quanto costava una ‘prestazione minima’? “Sì, questo lo ricordo bene: erano 210 lire divise fra tenutari (circa il 50 per cento, ndr), papponi e forse qualcosa era per le prostitute”. Forse no, a giudicare dalle condizioni in cui vivevano… Una quota andava poi ai cosiddetti reclutatori.  “Le dieci lire… dispari – riprende Angelo - venivano assorbite dalla tassa governativa”. Lo Stato ‘mungeva per bene le sue vacche’: tra i 10 e i 15 miliardi annui del tempo!

Quanti campobassani frequentavano la casa? Tantissimi, fuori c’era anche la fila, a volte”.
Tutto alla luce del sole? “Tutto legalizzato, normale che nessuno dicesse niente”.

(La parete su cui posava l'orinatoio pubblico di Porta Mancina)
 
Salutato anche Angelo, la cui testimonianza ci è sembrata più chiara e circostanziata di quella precedente, scendiamo ancora a via del Castello dove, nei pressi di Porta Mancina, incontriamo Michele il quale, però, non può esserci utile perché ha sessant’anni, pochi, in retrospettiva, per vivere appieno quella vita così materiale e distorta da sembrare più grottesca che frivola. Per la verità una cosa ce la dice anche lui, ed è un contributo tutt’altro che marginale. “Ero piccolo, avrò avuto sei anni, forse sette – racconta – ricordo tutti questi uomini, per la maggior parte anziani, che scendevano lungo la strada e sostavano non poco all’orinatoio pubblico che era lì, vicino alla Porta (Mancina, ndr). Beh – prosegue – credo proprio che si andassero a… risistemare la patta dopo la visita a donna Peppa”. Sensazioni sgradevoli di un’epoca figlia della povertà e del maschilismo più becero. La tolleranza, in questo caso, era quella delle mogli e delle donne anche giovani che dovevano sottostare non solo ai loro uomini viziosi ma anche alle leggi in vigore.
“Per fortuna mio marito era un tipo fedele – commenta Angela, originaria di Toro, rimasta vedova troppo presto – Altrimenti anch’io avrei dovuto vivere sopportando quella situazione”. La seguiamo su per le scale di via Chiarizia. A lei e ad altri tre anziani, affidiamo le ulteriori testimonianze del nostro viaggio lungo i vicoli del ‘piacere istituzionalizzato’. La incrociamo di mattina che porta, con affanno, una pesante busta della spesa. Mentre l’accompagniamo a destinazione, approfondiamo il discorso sulle frequentazioni dei bordelli prima della legge Merlin. “Le voci giravano e tutti sapevano. Io posso dirvi che in quei posti capitava pure che si incontrassero casualmente a fare la fila padri e figli”. Questa ci mancava… ed è una circostanza assai probabile, visto che i ragazzi cominciavano a trastullarsi già a diciott’anni.

Carichi di meraviglie riscendiamo per Salita San Paolo, direzione Piazza dell’Olmo, scorcio memorabile del borgo antico, forse perché, più a ridosso di via Chiarizia, cioè del luogo più frequentato dell’intera area storica di Campobasso, presenta meno tracce di degrado. Qui, secondo alcuni, dimoravano le prostitute della terza casa di tolleranza ufficiale della città. Bastano un paio di chiacchierate per capire che di prostitute ce n’erano anche in zona, ma che lo facevano singolarmente, senza una donna Peppa’ a gestirne i movimenti e prive dei crismi della legge. Delle case di appuntamento fuori regola, insomma. Né più né meno di quelle che proliferano oggi a ogni latitudine in giro per l’Italia, Campobasso compresa. Il settantenne Aldo ci accoglie in casa sua. Pulizie appena fatte, ci invita a scivolare sulle pattine sistemate all’ingresso. La chiacchierata dura dieci minuti. Aldo ricorda altri particolari di donna Peppa, ma soprattutto esclude che a Piazza dell’Olmo ci sia mai stata una vera casa di tolleranza. “Vivo qui da una vita – commenta – saprei questa cosa. Se proprio volete scrivere qualcosa in più, mettete che nel centro storico vivevano donne che lavorano in proprio… diciamo così. Gli uomini avevano quasi l’imbarazzo della scelta. Ed era un’abitudine di tanti”. La sua signora si affaccia e aggiunge: “Ci voleva molta forza per sopportare tutte quelle scappatelle. Le donne tolleravano, certo, funzionava proprio così”.

Tolleranti e solidali, almeno con quelle che ‘si davano’ per fame più che per piacere. Nei pressi dello stabile dove prima albergavano le ‘protette’ di donna Peppa, tante signore si offrivano di dare assistenza alle ragazze. Alcune portavano il ghiaccio (serviva anche quello per gli ematomi), altre medicine, altre ancora un po’ di conforto quando era necessario. Anna, che al tempo della legge Merlin aveva quattordici anni, ricorda alcune di queste signorine. “La donna che abitava in questo stabile (a due passi dal bordello, poi abbattuto negli anni Sessanta, ndr) prima di me, cucinava spesso per loro. Io ricordo che le ragazze erano sempre in casa, al massimo si sedevano di sera su un muretto nel retro del casino”.  Succedeva pure che qualcuna rimanesse incinta e allora loro, le amiche fugaci della porta accanto, non potevano nulla. Il problema era molto più serio, ma si risolveva lo stesso, sbrigativamente, nel modo in cui tutti possono intuire.
E poi c’era chi non pagava… come sempre. L’ultimo abitante del centro storico che avviciniamo si chiama Francesco di secondo nome, è un portalettere da tempo in pensione. E’ un uomo distinto e con una buona cultura. Ha lavorato per quasi cinquant’anni con l’azienda delle Poste italiane. Da donna Peppa siamo partiti e con lei vogliamo finire. “Era una persona generosa che ricambiava sempre i favori – racconta - Via del Castello, 47: ricordo ancora il suo indirizzo. Ogni volta che portavo un telegramma mi dava mezza lira che era quanto bastava per fare una buona colazione. Tanta gente le ha chiesto aiuto e non credo si sia mai tirata indietro”.

Anche la maitresse siciliana faceva la professione? “Assolutamente no. Era anziana e manteneva le ragazze. Ce n’erano tre o quattro, a volte anche di più. Lei controllava gli orari, che potevano andare da mezz’ora a un’ora o di più. Ogni giorno arrivava il dottore per verificare le condizioni igieniche. Il bordello era molto frequentato, il popolino si riversava quasi tutto lì”.

E lei perché non pagava? “Non pagavo perché ogni Natale per noi portalettere arrivava il regalo di donna Peppa sotto forma di una marchetta gratis. Per di più mi fu concesso di sperimentare la ‘casa’ anche prima dei diciott’anni, proprio perché ero uno che portava notizie tramite telegrammi o lettere”. Francesco ricorda quei tempi lontani con un sorriso leggero. E’ gentile ed è stato assai schietto. Non andiamo oltre con lui, ha famiglia e parecchi figli che, probabilmente, non sanno, e forse neanche riuscirebbero a capire quei meccanismi perversi in cui la maggioranza degli uomini veniva risucchiata prima, e in parte dopo, il matrimonio. Tempi lontani? Sì, ma solo per le case di tolleranza. Il mestiere più vecchio del mondo è sempre lì sulla piazza, il più richiesto, semmai si rinnova esperienza dopo esperienza, anno dopo anno. I nostri ‘reduci’ sanno pure loro che la Campobasso di fine 2013 brulica di case di appuntamento, i vicoli del centro storico non fanno eccezione, anzi sono il luogo più incustodito e meno accessibile della città, il migliore possibile.
Mentre facciamo queste considerazioni, scendiamo le ultime scale che da una viuzza interna portano su via Marconi. Svoltando, incrociamo due appariscenti donne sui venticinque massimo trent’anni. Sono ben vestite, capelli tirati e jeans attillati, non sono italiane e armeggiano col cellulare. Il dubbio ci assale. Ma siamo poco lucidi, troppo presi dalle mogli che tolleravano l’intollerabile. Così tiriamo via dritto senza porre altre domande: ne abbiamo già fatte troppe. E poi questa sarebbe un’altra storia, fatta di euro (tanti), di controlli (pochi), di sfruttamento puro, oltre che di ammiccamenti super tecnologici tra pc, iphone e ipad di ultima generazione. E pensare che donna Peppa s’inteneriva con un telegramma… 

Inchiasta pubblicata in due parti su
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