SOCIETA' Psicosi frutta e verdura contaminate, la soluzione c'è ma è dimenticata e fatiscente. Un giro al mercato coperto di Campobasso

di Maurizio Cavaliere
Finalmente, dopo anni di denunce sotterranee, anche i media più sordi al richiamo dei poveri cristi hanno preso a parlare de ‘La terra dei fuochi’, di questa sporca faccenda italiana di inquinamento, corruzione, delinquenza e morte. Se ne parla anche da noi, in Molise, soprattutto da quando è scattato l’allarme frutta e verdura contaminata.
Se ne chiacchiera al supermercato, per strada e nei ristoranti. Se ne discute perché parte dei prodotti consumati sulle nostre tavole arriva da quel territorio maledetto, stuprato in pari misura da chi opera la violenza e da chi la permette. La camorra imperante e le istituzioni assenti, a volte addirittura conniventi. La vergogna parte da lì e adesso si respira anche nell’aria che ci appartiene, nel senso della nostra responsabilità diretta su di essa, come uomini e come cittadini. Negli ultimi giorni abbiamo raccolto i timori di tanta gente, per lo più molisani della classe media, se ancora è possibile usare questa espressione. Quelli, insomma, che hanno ancora i soldi per fare la spesa settimanale, magari comprando anche più del necessario. La gente comincia a chiedersi perché si è arrivati a tanto.  Qualcuno, non tutti per la verità, vuol vederci chiaro, sondando la provenienza di questi alimenti. Lo fanno pure i ristoratori che, nella maggior parte dei casi, comprano nei supermercati che, a loro volta, si riforniscono spesso da aziende prospere di quell’area così vergognosamente devastata. I prodotti magari costano meno e sono di colori accesi e forme perfette, in una parola: invitanti.

Siamo stati al mercato coperto di Campobasso per verificare il rapporto tra i commercianti molisani più affidabili e la gente comune. Nei pressi del semideserto androne della struttura di via Monforte abbiamo incontrato due giovani mamme, Paola e Maria Cristina, appena uscite dal lato di via Benevento. “Sa che è la prima volta che veniamo? Eppure siamo campobassane – spiega Paola, che spinge una carrozzina che funge nell’occasione da contenitore della spesa – Abbiamo deciso che da oggi si cambia. Il motivo è semplice: sentiamo in giro voci e servizi ben documentati che dimostrano l’alterazione di prodotti che arrivano da alcune parti dell’Italia meridionale”. Come mai non venivate prima? Io ho dei bellissimi ricordi di questo mercato – prosegue - Venivo spesso da bambina, ma poi la struttura sempre più fatiscente mi ha progressivamente allontanato”. Difficile darle torto. Il mercato coperto di Campobasso, fiore appassito all’occhiello di un’amministrazione in gravi difficoltà, offre ormai pochissimo. Sei/sette banchi attivi, fra i tre piani, tre alimentari, una macelleria e una clientela sempre più esigua che ormai censire è un gioco sin troppo facile: tre ristoratori, un gruppo di anziani e poche, pochissime mamme dell’ultima generazione. “Non vengono perché dalle altre parti i prodotti sono più belli da vedere e sono spesso già puliti e pronti per l’uso, ma poi non pensano a quello che contengono effettivamente – interviene la signora Angiolina che vende frutta e verdura del suo orto di Ferrazzano – Però ci sono altri problemi seri, per esempio il freddo che fa qui dentro d’inverno. Se in molti giorni, per evitare di ammalarci, non veniamo nemmeno noi a vendere, perché dovrebbe venire la gente a comprare?”. Le carenze delle amministrazioni che si sono succedute nel tempo, destra e sinistra senza sostanziali distinzioni, sono un dato oggettivo. Eppure qui ci sono i nostri contadini con i loro e i nostri prodotti. Gente che sarebbe disposta a portarti sui campi e negli orti per darti la sicurezza di quello che acquisti. Niente a che vedere con i prodotti inquinati della ‘terra dei fuochi’, ciò nonostante tanti campobassani sfilano in via Monforte, guardano e vanno oltre, in attesa dell’uscita del sabato o della domenica per andare al centro commerciale o all’ipermercato dove, forse, spenderanno di meno, ma a quale prezzo?

Il mercato coperto di Campobasso è l’affresco orribile di un’epoca cupa: quella del disinteresse per il proprio territorio e per lo stesso amor proprio. Come può un’amministrazione lasciarsi sfuggire dalle mani un tesoro del genere? Nello stesso modo in cui sta affondando Piazzetta Palombo, aggiungiamo noi, cioè nell’indifferenza più totale. Sono anni che si parla di una nuova destinazione d’uso per la struttura di Via Monforte. Ma ormai chi vende non ci pensa neanche più: “Non lo so, se ne parla da tanto tempo, ma non cambia nulla”  commenta Franco, forse il più anziano tra i presenti. D’altronde non ci sono i soldi per tenere in piedi un baraccone del genere, dicono da Palazzo San Giorgio. Quindi, si è detto nel corso degli anni: “Affidiamolo ai privati, facciamoci un cinema multiplex (lo abbiamo già ed è più che sufficiente, ndr) o un altro centro commerciale (ce ne sono già a iosa in rapporto al numero di abitanti, in piccolo quello che avviene nel Napoletano, dove c’è la più alta concentrazione di centri commerciali in Europa!), oppure un parcheggio sotterraneo, o ancora un grande ristorante con dei negozi”. Queste le ipotesi vagliate. Tutto solo sulla carta e intanto, nonostante l’apprezzabile attivismo di associazioni e altre istituzioni, non ultime Legambiente e Università del Molise, ma anche Confcommercio e Confcooperative, la bella struttura edificata nel 1957 su un progetto dell’ingegnere Enrico Mandolesi si sfilaccia via come pelle abrasa. E poi ci si scervella per capire perché mai i negozi di via Ferrari, di via Roma e via Marconi sono sempre più vuoti o perché in Piazza Prefettura si contano ben dodici attività chiuse per fallimento (la maggior parte negli ultimi mesi!)… Rivitalizzare il mercato coperto potrebbe non bastare, questo è certo. Ma qualcuno a Campobasso ci crede ancora e sogna, non importa che siano poche, inossidabili donne che, per per la maggior parte, superano i settant’anni. Antonietta è una di queste. Lavora qui da sempre: vende la frutta e la verdura dei suoi campi di Matrice e Montagano: “Sono una donna di lavoro io, non una di… cassa – interviene sottolineando subito che la sua è stata una vita di sacrifici, ma senza rimpianti – I miei clienti mi conoscono e si fidano di me, ma purtroppo non sono molti – spiega mostrando con un timido, dolce, rassicurante sorriso condito da una spruzzata di humour vecchio stampo – I giovani di oggi si riforniscono al supermercato ma mangiano spesso il veleno. E allora buon appetito… Però ricordatevi, ragazzi, che chi mangia bene campa cent’anni”. Che sarà di questo mercato da qua a dieci/vent’anni? Non lo chiediamo ai presenti, la risposta sarebbe ovvia. Certo sarebbe bello se i campobassani tornassero a fare la spesa qui. Ci sarebbe uno sfogo per tutti: contadini, esercenti e semplici cittadini. L’economia di tutta l’area respirerebbe di nuovo, riaprirebbero forse i negozi, e i ristoratori, nessuno escluso, comprerebbero i prodotti della nostra terra, che fino a prova contraria sono ancora buoni, magari meno belli a vedersi, quello sì.

I non più giovanissimi ricorderanno cosa si disse all’indomani dell’arrivo del costruttore marchigiano Costantino Rozzi a Campobasso per edificare il nuovo stadio: ‘Finalmente meno traffico in città, uno stadio su misura per una grande squadra e uno spazio tutto nostro, della cittadinanza, dei giovani da tenere come un gioiellino e in pieno centro. Un biglietto da visita per chi arriva da Roma’. Dopo ventotto anni questo è il risultato: il traffico è sempre lo stesso, lo stadio nuovo (ma ormai vecchio) costa troppo ed è ingestibile (in curva Sud c’è una pericolosa infiltrazione d’acqua…) e, soprattutto, la città si è ritrovata con un monumento al degrado morale e civile in pieno centro. Chi arriva a Campobasso vede un ammasso di auto attorno a un campo di calcio marrone di terra secca e rugosa. Uno squallore. Forse sarebbe stato meglio tenere in piedi quel vecchio impianto (con un bel parcheggio sotterraneo) super dimensionato per una città di grandezza così modesta. Quello era un monumento tipicamente campobassano, proprio come il mercato coperto che adesso rischia la morte per eutanasia. E pensare che di quest’opera si parla in termini entusiastici in diverse riviste di settore. Noncuranza e poi morte indolore dunque. Stacchiamo pure i tubi a chi si ostina a comprare i nostri prodotti, a quei pochi che si svegliano presto per scegliere i broccoli più freschi o le mele più succose senza farsi abbagliare dai colori accesi o dalle forme tondeggianti e perfette. Spersonalizziamo la città ancora un po’… Una macabra deriva senza appigli? No, qualcosa è ancora possibile. L’alternativa è opporsi con forza e idee a tutto questo. “Vediamo subito cosa fare per ridare una chance al centro della nostra città” – concludono gli sakanovisti della spesa consapevole - Fermiamoci in tempo, perché al peggio non c’è mai limite”. Lo sanno bene gli sfortunati abitanti della ‘terra dei fuochi’.

pubblicato il 22 ottobre su http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=15088
 

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