L’arte del viaggio imprevedibile, Serafini: “Che sorpresa il Molise”

di Maurizio Cavaliere Una serata fresca e rilassante come un cammino affrontato con calma senza l’assillo di arrivare alla meta. La XII edizione del Matese Friend Festival è partita ieri a Bojano con un ospite importante. Maurizio Serafini non è solo un musicista apprezzato e il fondatore del rinomato e massiccio Montelago Celtic Festival (primi 5mila biglietti ‘bruciati’ in poche ore), gemellato con la rassegna matesina. Maurizio è anche una guida escursionistica ambientale e un esploratore delle strade più remote e affascinanti del mondo, che attraversa con entusiasmo e coraggio acquisendo e divulgando conoscenza. In sostanza un ambasciatore culturale, ma non del genere classico ‘giacca e cravatta’: i suoi elementi di complemento sono altri, lo zaino, la cornamusa e oggi un camper da viaggio nel quale vive con la compagna, Cristina. I due percorrono le strade italiane in un gradevolissimo tour e diffondono i contenuti dell’ultima pubblicazione di Serafini, il libro ‘Per fortuna ci siamo persi’. Sulla fiancata del mezzo itinerante la scritta “L’arte del viaggio imprevedibile” che è il sottotitolo della stessa opera editoriale presentata ieri sera. Il pubblico boianese lo ha conosciuto dunque come scrittore e abilissimo oratore. Linguaggio elegante e grande capacità di stimolare l’attenzione, Maurizio Serafini ha intrattenuto i presenti con le sue storie tra realtà e sogno: la realtà è quella della fatica fisica e mentale dei cammini, dei rischi che ha dovuto affrontare scegliendo l’imprevisto o meglio l’ignoto, il sogno è invece l’elemento ricorrente in alcune esperienze in cui la coincidenza si materializza in inattesi colpi di teatro che fanno letteralmente ‘svoltare’ le sue storie meravigliose. Dall’incontro con i dayaki, i cosiddetti tagliatori di teste del Borneo (emblematica la volta in cui per dimostrarsi all’altezza di quella particolare ospitalità, decide di bere con loro un liquame putrido cui i dayaki aggiungono le loro ‘epiche’ scatarrate) alla volta in cui al confine con la Mongolia si ritrova in uno scenario da film di Salvatores, dall’approccio rischiosissimo con la più incontaminata tribù del globo nelle isole Andamane di fronte all’ex Birmania, alla notte in cui ha visto la morte in faccia, mentre, sofferente, continuava a esplorava il Tibet: il libro è una sorpresa continua e avvincente. Maurizio Serafini ha il prego di narrare gli imprevisti con estrema leggerezza e di fotografare la realtà senza interpretarla, rispettandola come solo il bravo cronista sa fare. Questo aspetto, unito ad una prosa scorrevole, rende ‘Per fortuna ci siamo persi’ un piccolo gioiellino per il lettore curioso e un ‘must to read’ per gli appassionati di avventure estreme e cammini. Da reporter di viaggio diventa senza volerlo abile reporter di guerra (prezioso il suo racconto della vicenda dei curdi in Turchia).La presentazione è stata intervallata dalle letture, anche musicate, del gruppo teatrale dell’Associazione ‘Il pentagramma’ diretto da Eva Sabelli del teatro del Loro. Musicisti e attori insieme: Gloria Ranaudo, Ilias Larey, Fabrizio Spina, Teresa Cappussi, Rita Gianfrancesco, Sabina Iadarola, tutti bravissimi.Anche grazie alle coordinate segnate dal reading, Serafini ha lasciato che l’audience si orientasse tra le sue tante avventure di esploratore e di uomo alla ricerca del senso delle cose, della magia della natura, di personaggio temerario che ha forse pure accarezzato il mistero della vita. Se fosse un personaggio letterario Maurizio sarebbe la fusione tra Saturnino Farandola, l’incomparabile protagonista di viaggi ‘straordinarissimi’ creato dalla penna di Albert Robida, e un personaggio particolarmente riuscito di un libro di Jules Verne: se ne sono accorti i boianesi che ieri sera lo hanno ascoltato e convintamente applaudito perché Serafini ci spinge a guardare il mondo da una prospettiva che oggi ci sfugge, quella di un viaggio, la vita, da affrontare con coraggio e istinto, non solo con la razionalità. Serafini si è… perso anche nel nostro Molise, proprio a ridosso del Matese, terra che ama perché ancora espressione di un mondo rurale e antico, in cui il valore dell’accoglienza è rimasto intatto così come gran parte del territorio. Questo libro è un invito a recuperare il rapporto simbiotico con la natura selvaggia, a osservarla con attenzione come forse facevamo tutti prima dell’avvento dei telefonini e della realtà virtuale. In sostanza, vivere andando in profondità ma con leggerezza. Siamo ancora nelle condizioni di poterlo fare perché, come emerge dalla lettura, nel vortice di un mondo in cui geolocalizzatori, super tecnologie e microchip ci fanno sentire spiati pure quando andiamo in bagno, ci sono ancora degli angoli di mondo che sfuggono alle cartine geografiche, antri e selve inesplorate. E, per fortuna, c’è ancora chi ha voglia di entrarci. La prima serata del Matese Friend Festival è proseguita con Serafini che ha indossato gli altri panni che gli sono congeniali: quelli del musicista. Un minuto per alzarsi dalla poltrona, imbracciare la cornamusa e, accompagnato da Roberto Napoletano alla fisarmonica, è subito pronto a suonare una coinvolgente versione di ‘The Last of the mohican’. Ancora applausi e, a seguire, spazio alla qualità della nuova azienda locale ‘Matese Officinale’ frutto del coraggio e del lavoro del 23enne boianese Italo Risi. Il quale ha presentato alcuni dei suoi prodotti, su tutti gli amari Matese e Quirino: il primo, dolce, realizzato con le bacche di viola di trigno o prugnolo selvatico, il secondo ‘estratto’ da uno studio di 3 anni per creare un elisir curativo composto da una enorme quantità (ben 60) di erbe officinali autoctone. Chiusura con gusto e ricercatezza, dunque, per esaltare il territorio d’origine e ripercorrere quel sentiero battuto da tanti matesini prima noi. E magari, poi, perdersi tra i faggi e le spianate come piace fare a Maurizio Serafini, ambasciatore culturale con la cornamusa, primo ospite di livello del ‘nuovo’ Matese Friend Festival.

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