Elena Marinelli racconta il mito Steffi Graf… e un sogno partito dal Molise

La scrittrice originaria di Casacalenda pubblica il suo secondo libro (per la 66thand2nd): è la prima biografia italiana della formidabile tennista tedesca, che in realtà è un avvincente romanzo di formazione e… parte dal Molise.

di Maurizio Cavaliere

C’è un momento meraviglioso della vita in cui qualcuno o qualcosa ti si para davanti senza preavviso e ti stordisce, ti cattura i pensieri. Ti ispira. Succede più o meno a tutti durante l’adolescenza, a volte è una passione effimera, altre ti sconvolge l’esistenza, in positivo s’intende, e te lo porti dentro, forse per sempre. Nella vita di Elena Marinelli, scrittrice molisana che vive a Milano, quel momento arriva all’alba della lunga estate del 1993.

Poco più che una bambina, Elena è in vacanza con la famiglia a Termoli, dove frequenta un corso di tennis. Sono i giorni in cui si appassiona a uno sport diverso rispetto a quello che conosce di più: il calcio. Un amico, vicino di casa, ne interpreta il messaggio e le presta alcune videocassette su cui sono impresse le gesta dei tennisti di quegli anni. Elena ne sceglie una e la guarda, fino alla fine, senza sosta, nonostante quella vecchia Vhs si veda da schifo. E’ proprio lì, in quegli ultimi minuti di immagini imperfette, che avviene la ‘visione’. Quando i suoi occhi cadono sui colpi possenti e sulla presenza fisica e mentale di Steffi Graf che schianta 6-0 6-0 la povera Natasha Zvereva al Roland Garros 1988, in finale, la ragazza molisana non capisce più nulla. O meglio: da quel preciso istante la bionda tennista di Mannheim diventa il suo modello sportivo, la fonte di ispirazione, il mito assoluto.

E’ bello raccontare la genesi di ‘Steffi Graf. Passione e perfezione’, il nuovo libro di Elena Marinelli. Bello perché è come riavvolgere il nastro della ‘tua’ videocassetta, quando lo sport rappresentava più di un diversivo, i campioni erano i ‘tuoi’ campioni e non perdevi un evento live o un record mondiale. Proprio la leggerezza e questa spontanea purezza preadolescenziale, che cresce e si trasforma nell’atto d’amore in età matura verso l’idolo di sempre, sono alla base di un’opera che non è solo la biografia di una delle più grandi atlete di sempre, ma è la cronaca dei moti del cuore, quelli di una ragazza che viaggia con la fantasia oltre le strettoie della provincia molisana.

Solo così si può gustare appieno il sogno di Elena Marinelli, che si materializza nella vicenda sportiva e umana di Steffi Graf, e da qui nella narrazione del mondo dell’algida e timida campionessa del Golden Slam: unica nella storia del tennis, maschi compresi, ad aver conquistato i quattro maggiori tornei Atp e l’oro olimpico nello stesso anno. Quale? Il mitico 1988, naturalmente.

Il libro è appena uscito per i tipi della ‘66thand2nd’ nella Collana di sport ‘Vite inattese’. In tutto il catalogo dell’editore, che si occupa anche di romanzi sportivi e narrativa, è il primo libro su una sportiva scritto da una donna, gran bel primato che fa il paio con un’altra bella nota a margine: quella della Marinelli è la prima biografia italiana di Sfeffi Graf.

Per Elena è il secondo lavoro, successivo al romanzo di formazione ‘Il terzo incomodo’ (Baldini+Castoldi) stesso titolo del libro di Ferruccio Mazzola, pubblicato poco prima.

La scrittrice molisana vive a Milano dove è impegnata con Mondadori: si occupa in particolare di comunicazione per gli Ebook della storica casa editrice del Gruppo Fininvest. In Lombardia ci è arrivata dopo un lungo percorso formativo.

Da Casacalenda a Bologna, Elena conclude il triennio alla facoltà di Scienze della Comunicazione (semiotica del testo la sua materia), quindi i due anni di specializzazione al Dams, in Cinema. Agli esaminatori racconta pure dell’esperienza fatta nel suo paese d’origine, Casacalenda, per il Festival MoliseCinema. La giostra gira, si ritrova per lavoro a Milano, lontano dagli affetti, una carenza che forse compensa leggendo e scrivendo tanto.

La contattiamo il giorno di Sant’Ambrogio. In città è festa, si fa per dire in questi giorni tutti uguali. “Il telelavoro va avanti da marzo – interviene – non è che sia una gioia restare a casa”.

La prima domanda che le porgiamo è fondamentale per capire su quale terreno si è messa a correre per raggiungere la ‘sua’ campionessa: la terra rossa del Roland Garros, certo, ma non è stato un gioco.

Come hai fatto a scrivere una biografia senza entrare in contatto con la protagonista? “Non è stato facile – risponde – ho provato a raggiungere Steffi Graf, ma non è stato possibile. Lei è molto riservata, non ha mai amato le luci dei riflettori. Dopo il ritiro è rimasta piuttosto lontana dal tennis, occupandosi di altro fra beneficenza, fotografia, arte, famiglia. Rispetto molto il suo modo di essere, perciò non mi sono spinta oltre nel tentativo. Certo, le avrei voluto raccontare cosa mi ha spinto a scrivere della sua storia tennistica. E’ solo a quella infatti che mi sono attenuta, alla carriera dagli esordi al ritiro ancora relativamente giovane. Ho voluto parlare di Steffi Graf su un campo da tennis”: la biondina imperscrutabile dal dritto prorompente e il rovescio calibrato, a una sola mano, naturalmente.

Ma Elena, classe 82, non poteva conoscere tutta la vicenda sportiva di una campionessa che ha esordito tra i professionisti nel 1983, ad appena 13 anni. “Ho passato tanto tempo a documentarmi. Dovevo colmare il vuoto che c’era prima di quella fatidica estate del 1993 quando ho cominciato a seguirla in tv e sui giornali, torneo dopo torneo”. Dieci anni di buco che l’ormai ex adolescente di Casacalenda ha riempito con le cronache del periodo: ritagli di giornale, interviste video e scritte e guardando pure le partite di altri giocatori che hanno ‘illuminato’ gli anni Ottanta del tennis: “Volevo entrare nel contesto, capire com’erano quegli anni dentro e fuori dal rettangolo di gioco” spiega.


Leggendo il libro sì, possiamo confermare che il clima descritto, fra una volée che chiude il set e la formazione sportiva e umana della giovane Sfeffi, sotto il controllo di papà Peter, è proprio quello degli anni Ottanta, quelli dell’esplosione mediatica del tennis e di tanti altri sport, quelli che spianano il terreno alla distensione post guerra fredda.

Passione e perfezione sono i termini riassuntivi con i quali annunci la Graf, nel titolo. La passione è quella che la porta a colpire la palla con forza, già nel salotto di casa quando ha solo quattro anni, e diverte amici e parenti. Cosa intendi invece per perfezione: è il percorso graduale fino al ‘boom’ dell’88? “Sì, Steffi Graf non nasce campionessa, non si presenta sulla scena e vince ai primi grandi tornei. Si forma invece con una costanza sorprendente, migliorandosi un match dopo l’altro, caricata anche dalle sconfitte. Tra l’esordio nel professionismo e la prima vittoria importante, al Roland Garros dell’87 in finale contro Martina Navratilova, passano più di 4 anni”. Quattro anni di gavetta e metodo, senza la volontà, così decide il padre, di bruciare le tappe o il fisico in crescita”. Deve fare esperienza la ragazza. Un’eccezione rispetto alla regola delle tenniste ‘baby boom’. “La Sabatini e la Seles, sue grandi rivali, sono in effetti arrivate più all’improvviso. Lei, Steffi, ha fatto un gradino alla volta, pur arrivando al primo successo vero, in Francia, non ancora 18enne.

“C’è da dire – aggiunge – che la Graf si è trovata a giocare in un momento straordinariamente importante per il tennis: fra il tramonto di Chris Evert, il culmine agonistico di Martina Navratilova e l’ascesa di nuove atlete, molto giovani, in un tennis che si trasformava radicalmente. C’è stato un cambio della guardia repentino e lei ha vissuto il prima, il durante, e il dopo”. Quel prima e durante in cui si serviva pure con due palline in mano, alcuni lo facevano, lei compresa, così se ti entrava la prima, giocavi lo scambio con la mano impegnata, vedere per credere l’illustrazione di copertina di Guido Scarabottolo. Altri tempi.

Leggendo il tuo libro Steffi Graf viene fuori timida e concentrata sul suo mondo. Forse fredda, anche schiva, quasi come se il suo rapporto con il tennis fosse circoscritto al gesto fisico e atletico, e tutto il resto (circo mediatico, interviste e gala compresi) fossero una forzatura. Eppure ha conquistato tifosi ovunque, è stata molto amata, conservando sempre il senso della misura, non solo nei colpi. “La sua forza è stata la capacità di rendere normale ciò che normale non era – dice Elena – Lei ti dava la possibilità di appassionarti allo sport, osservando la completezza dell’atleta, il gesto tecnico perfetto, l’imperturbabilità, la tenuta mentale. E’ il modo di stare sul campo, con quella forza fisica ed emotiva, che hanno stregato gli spettatori di tutto il mondo”.

E poi c’è la rivalità accennata prima. Il duello con Monica Seles resta nella storia dello sport. Come quello tra Lendl e McEnroe, una competizione che però non ha una derivazione tecnica, ma è nell’approccio al gioco. “Monica Seles – spiega Elena – porta con sé un cambiamento incredibile, perché è così diversa da Steffi Graf. Lei dichiara di volersi divertire con il tennis, va volentieri alle esibizioni e vive lo sport dentro e fuori, tutto il contrario di Steffi. E’ una ragazza esuberante e forte fisicamente e tecnicamente, con dritto e rovescio bimani, sul campo è una che si sente”… nel senso letterale del termine: celebri i suoi urletti per caricarsi e innervosire l’avversaria.


“Credo che Monica sia stata la rivale più agguerrita di Steffi Graf e anche la più temuta. Il tennis ha conosciuto un momento magico con loro, fino al brutto episodio di Amburgo (durante un cambio di campo, la Seles viene accoltellata alla schiena da un folle, che è fanatico di Steffi Graf, ndr). Quell’incidente ci ha privato probabilmente di partite memorabili. Molti dicono che, senza Amburgo, Steffi non sarebbe mai tornata numero uno al mondo. Ma chi può dirlo realmente?”

Nonostante le bordate che le due scaricano sul campo, sempre e solo lì, e nonostante Monica Seles si sia presa la corona della sua amata regina Steffi, Elena Marinelli ha solo belle parole per la ragazza di Novi Sad. “Ho sempre avuto ammirazione per lei, anche solo per il fatto di essersi presentata agli occhi del mondo dichiarando di voler essere come Steffi Graf, cioè la migliore, ma in un altro modo. Mi sono fatta l’idea che Steffi percepisse Monica come la sua nemesi vera. Che poi l’apprezzasse sul piano del gioco è altrettanto evidente. Un rapporto tra opposti che a me piaceva. Invece Martina Hingis (la rivale successiva) la sopportavo meno…” aggiunge a bruciapelo.

Di tutto questo e di altro si parla nel libro: dai complessi slanci emotivi della bambina che diventa ragazza e poi donna, ai consigli del padre, e ancora il rapporto con la madre, con gli allenatori e con le avversarie, che difficilmente diventano amiche, forse Gabriela Sabatini sì, perché per un po’ è la compagna di doppio. Più che una biografia, ‘Passione e perfezione’ è un romanzo di formazione e forse per questo scorre via bene. Avvincente, anche. No, non è solo una lettura per appassionati di sport e di campioni.

“Esiste un posto nell’animo di Steffi che è destinato al tennis, alla sua cura, alle aspettative e al fallimento e nessuna di queste cose ha un prezzo basso, ma a Steffi sembra non importare”: scrive Elena in un passaggio chiave, mentre si addentra con delicatezza nei meccanismi interiori di una campionessa particolare che sembra cercarla la solitudine. “Non farti mai vedere” è una delle ferree regole imposte da papà Peter. Il genitore-controllore le spiega che è meglio tenere a freno le emozioni sul campo, o almeno nasconderle, altrimenti qualcuno potrebbe approfittarne.

Steffi lo segue alla lettera. Forse perché è costretta. Forse perché le piace. Non cede, imperturbabile, sempre composta e corretta, forse distante ma mai antipatica. Da metà carriera in avanti, più o meno a partire dall’inizio delle disavventure del padre, quando è costretta ad affrontare tutto da sola, usa spesso il filtro dell’ironia per difendersi. In fondo le pesa poco quella condizione, perché sa che la sua vita cambierà, che lontano dai campi c’è tanto altro, l’arte e la fotografia per esempio. Lo avverte nel corso di tutta la sua carriera: sa che smetterà presto, non le piace l’idea di vivere per sempre quel circuito chiuso di ritiri, allenamenti, ospitate e sorrisi forzati. E lo farà: lo intuiamo nelle pagine del libro e lo sappiamo per quello che la storia ci ha raccontato. Perciò Elena Marinelli non andrà oltre, non scavalcherà la rete dietro la quale si ripara ancora oggi Steffi Graf. Non c’è traccia dell’amore con Agassi, perché quella è un’altra storia che il grande André ha già raccontato in prima persona (Open).

Scorrono via le pagine, così i tornei Atp. Elena entra spesso nei pensieri delle altre tenniste dell’epoca, raccontando anche la caparbietà di Monica Seles nel seguire le orme del fratello tennista Zoltan, fino all’approdo da sogno alla Tennis Accademy di Nick Bollettieri. Monica è “instancabile, ostinata, tenace”, caratteristiche che confermerà nelle partite ufficiali. Qui si rivelerà anche un’ottima stratega, ostentando sicurezza e determinazione. E si sa, la psicologia è parte essenziale nel tennis, un rapporto di forza che va oltre l’imprevedibilità di lob, palle corte e dritti incrociati. 

Eppure lo snodo terribile di Amburgo cambierà la storia.

Monica è costretta a riprendersi dallo shock, mai ci riuscirà del tutto. Steffi vince ma soffre. Riconquista il primo posto nel ranking mondiale, ma lo riperde ad opera della volitiva Arantxa Sanchez Vicario la quale capitalizza i suoi progressi nel 1994 aggiudicandosi due Slam complice il mal di schiena della Graf. La vendetta sull’agguerrita spagnola arriva nella finale di Wimbledon del 1995, con uno scatto felino che trasforma la finale in qualcosa di epico: il penultimo game del 7-5 conclusivo dura la bellezza di venti minuti.

L’epilogo è per le prodezze di una Graff ormai logora nel fisico, ma capace ancora di farsi amare. Il suo ultimo slam corrisponde al sesto Roland Garros in carriera. Avversaria la nuova stella del tennis mondiale: Martina Hingis, travolta dall’uragano della storia, come se Steffi dovesse per forza salutare trionfalmente lo stadio che le aveva dato la prima grande gioia. Steffi sorride felice come mai aveva fatto prima, si avvia verso la leggenda. Martina Hingis scoppia in lacrime per la delusione.

E’ una sorta di commiato, che Elena descrive con sapienza. Le tessere del puzzle combaciano tutte. Anche lei è rimasta saldamente nel match.

Spesso abbiamo avuto la percezione di un racconto (il suo) nel racconto, anche quando non parla in prima persona. Come se scendesse in campo pure lei, per amore dello sport, naturalmente.

Emerge qua e là la potenza di quella ‘prima volta’ a Termoli nel 1993. Le belle storie, vere o romanzate, hanno sempre un inizio e una fine.

In “Steffi Graf Passione e perfezione” c’è dentro l’epopea del grande tennis femminile, con tutte le magnifiche interpreti di un sogno, c’è il mito del Golden Slam, c’è una società che cambia. Non manca niente, o forse sì: manca l’incontro fra la passione di Elena e la perfezione di Steffi, quel momento in cui la campionessa di Mannhein prende tra le mani il libro e riassapora la grandezza di quei giorni. “Oddio, non ci voglio pensare – riflette Elena – Mi tremerebbero le gambe se lo leggesse. Le chiederei subito se in alcuni momenti del racconto ho esagerato”. Chissà.

Alla fine Elena si è sfilata di dosso i panni della narratrice. Ora non gioca con le parole ma con i pensieri, di nuovo. Torna bambina. Sì, il sogno continua.

di Maurizio Cavaliere



Commenti

Post popolari in questo blog

L'INCHIESTA 'Onna Peppa, Maddalena e le ragazze di Porta San Paolo: le case di tolleranza a Campobasso. Quando un po' di telegrammi valevano una marchetta gratis

VIAGGI Da giornalista nel cuore di Londra: dal maestoso Guardian all'omaggio a Farzad Bazoft, Marx e Kinks